Definizione di dieta Mediterranea

Più che una dieta specifica, la dieta Mediterranea  è essenzialmente lo stile alimentare dei paesi del Mediterraneo che hanno in comune l’uso dell’olio di oliva. Per questo motivo questa dieta è tipica essenzialmente di quelle regioni Mediterranee dove è diffusa l’arboricoltura dell’ulivo e l’olio di oliva rappresenta quindi la principale fonte di grassi della dieta (Fig. 1.)

Fig. 1 – I paesi del Mediterraneo ove è diffusa la coltivazione dell’ulivo

Le diverse diete Mediterranee

La dieta Mediterranea assume tuttavia aspetti differenti nei diversi paesi del Mediterraneo per via di tradizioni locali, credo religioso, vicende storiche, ecc. Per esempio, il vino è parte integrante della dieta dei paesi del nord-mediterraneo (Spagna, Francia e Italia) mentre è totalmente assente nei paesi arabi del sud-mediterraneo per motivi religiosi. Anche il consumo di carne è differente, in quanto gli arabi mangiano pollame ed ovini mentre i paesi europei consumano carni rosse. La pasta e il riso sono assenti nei paesi arabi mentre sono e molto diffusi in Europa e particolarmente in Italia.

Se, come si è detto, l’olio d’oliva costituisce l’elemento centrale della dieta Mediterranea, la principale fonte calorica è invece rappresentata dai cereali, che forniscono il 50% delle calorie quotidiane. Uno studio dei consumi alimentari di una comunità pugliese rilevati mediante un questionario alimentare (Capurso, Neurology 1999) ha messo in evidenza un introito calorico quotidiano così distribuito: carboidrati 50%; lipidi 30%; proteine 15%; alcool 5%. I lipidi erano quasi esclusivamente costituiti da olio extravergine di oliva mentre le proteine erano fondamentalmente di origine vegetale (legumi e cereali) con una quota modesta di proteine animali (pesce nelle zone costiere, carne nelle località interne), e derivati caseari del latte.

Le radici storiche della dieta Mediterranea

Lo scenario storico

Verso la fine dell’alto Medioevo, intorno all’anno 1000, lo stile alimentare dell’Europa e dell’area Mediterranea era essenzialmente riconducibile a due ben definiti modelli alimentari, derivati fondamentalmente da due modelli di civiltà: la civiltà “Classica” e quella “Barbarica”, due civiltà contrapposte che si erano a lungo combattute.

La civiltà “classica”

La civiltà “classica” Greco-Romana sorta ed evoluta nel bacino del Mediterraneo, assegnava un ruolo primario alla coltivazione dei cereali, soprattutto grano, ed alla arboricoltura, soprattutto l’ulivo e la vite, affiancati da una magra pastorizia, fondamentalmente di natura ovina e caprina.

La civiltà “barbarica”

La civiltà “barbarica” Celtico-Germanica, originatasi e sviluppata nelle regioni centro orientali dell’Europa, per il suo stile di vita semi-nomadico aveva una economia essenzialmente silvo-pastorale basata fondamentalmente sullo sfruttamento delle aree incolte e delle foreste, da dove traevano sostentamento andando a caccia e pesca, e raccogliendo frutti del bosco, il tutto integrato da limitata pastorizia basata fondamentalmente sull’allevamento del maiale. In questo contesto “barbarico”, la coltivazione dei cereali aveva un ruolo del tutto marginale in quanto più che alla produzione di farina per farne pane, era invece destinato alla produzione di birra, la bevanda che in quelle popolazioni sostituiva il vino.

Lo scontro fra civiltà

In questo contesto storico, quindi, i due modelli di dieta si fronteggiarono opponendosi l’uno all’altro e cercando ciascuno di imporsi sull’altro: il modello “classico” derivato dal mondo Greco-Romano si basava essenzialmente sulla triade pane-olio-vino, quello “barbarico”, invece, sulla triade carne- (essenzialmente maiale e selvaggina)-grassi animali-birra.

Col tempo, il modello alimentare “barbarico” si impose più facilmente nei territori del nord Italia, specie nella pianura padana e nella “longobardizzata” Emilia, ove si diffuse ampiamente la cultura del maiale e dei suoi insaccati. I contadini meridionali, al contrario, fortemente ostili alle innovazioni “barbariche”, restarono testardamente legati alla cultura alimentare Classica Greco-Romana, continuando a coltivare il grano, l’ulivo e la vite. Si deve pertanto alla testardaggine di questi contadini la conservazione di questo stile alimentare, che col tempo sarebbe poi divenuto il nucleo centrale della dieta Mediterranea.

 

L’integrazione delle diete

Tuttavia, con il passaggio dall’Epoca Antica al Medio Evo i due modelli di civiltà, quello “classico” Greco-Romano e quello “barbarico”, che si erano a lungo contrapposti, finirono con l’incontrarsi e col fondersi, arricchendosi entrambi con i migliori elementi dell’altra. In tale contesto, anche i modelli alimentari finirono col fondersi. Così il pane, l’olio e il vino, elementi basici della dieta Mediterranea, si diffusero progressivamente nei paesi del nord-Europa anche per il ruolo centrale che essi avevano nella ritualità cristiana. Pertanto, chiese e monasteri divennero i principali mezzi di penetrazione del modello alimentare “classico” Greco-Romano nelle popolazioni nordiche, Celtico-barbariche e pagane.

Nello stesso tempo, il modello alimentare “barbarico” si diffuse ampiamente nelle regioni meridionali dell’Europa ed in Italia, per l’ascesa al potere di questi “barbari”, ed in particolare i Longobardi. Questi, che avevano conquistato dapprima il nord-Italia (La Longobardia Maior) poi anche il resto della penisola sino ai confini della Calabria (La Longobardia Minor)  vi regnarono per 200 anni, dal 568 d.C. (Alboino sconfigge Giustiniano e conquista Pavia) al 774 d.C. (i Franchi di Carlo Magno sconfiggono e uccidono Desiderio, ultimo re Longobardo).

In effetti, con la creazione della “Longobardia Minor” e dei suoi Ducati,  cominciò a diffondersi nei territori centro-meridionali dell’Italia la cultura “barbarica” longobarda, ivi inclusa la cultura alimentare. Le popolazioni del sud, pur restando testardamente legati alla triade Classica pane-olio-vino, cominciarono ad assorbire lentamente alcuni aspetti dello stile alimentare “barbarico”. Così cominciò a diffondersi una diversa considerazione per gli spazi incolti, boschi, pascoli, paludi, laghi e fiumi, spazi che la cultura Classica considerava negativamente, cioè come aree ostili e piene di rischi e di pericoli, da evitare e lasciare quindi incolte e abbandonate. Con l’avvento della cultura “barbarica” i contadini impararono  ad utilizzare questi spazi incolti, che divennero ben presto aree  di pastorizia, di caccia, di pesca e di raccolta di frutti selvatici, tutte attività che integrarono ampiamente la molto parca alimentazione del mondo Classico Greco Romano, basato ancora sulla triade pane-olio-vino. Il risultato fu la diffusione di un sistema produttivo agro-silvo-pastorale arricchito nel quale i prodotti di origine animale si integrarono con maggiore dovizia con prodotti di origine vegetale. Una importante integrazione fu quella delle verdure coltivate. Nella tradizione alimentare Classica Greco-Romana  le verdure, generalmente selvatiche,  avevano un ruolo molto marginale nella quotidianità. Con il diffondersi della cultura “barbarica”, le popolazioni contadine del meridione, ancora legate alla tradizione alimentare Greco-Romana e Bizantina, impararono a sviluppare la orticoltura “familiare”, un  nuovo sistema produttivo complementare, basato sulla coltivazione di piccoli orti situati sul retro o nelle vicinanze delle proprie abitazioni, ove venivano coltivavate verdure ed ortaggi per un uso familiare, in analogia col modello “barbarico”. In tal modo questa ed altre  innovazioni finirono ben presto con l’arricchire l’assai parco stile alimentare della tradizione Classica, ancora basato sulla triade “pane-olio-vino”.

Le colonie Greche del sud Italia. Il ruolo storico

La tomba dell’atleta

Il 9 dicembre del 1959 era una giornata limpida, non particolarmente fredda, a Taranto. In via Genova, al n. 9, gli operai avevano appena finito di demolire una casa vetusta per iniziare la costruzione di un moderno palazzo di 5 piani e si accingevano a scavarne le fondazioni quando qualcosa cedette sotto i piedi e si aprì una voragine nel sottosuolo. Pensando di essere finiti in una caverna naturale, come ce n’è tante nel territorio carsico Pugliese, cercarono di fare un po’ di luce per vedere dove erano finiti e, con grande sorpresa, si accorsero che erano finiti non in una caverna bensì in un ambiente quadrangolare con al centro un grande sarcofago in pietra; ai quattro angoli del sarcofago vi erano quattro anfore (una però era rotta). Fatto scorrere il pesante coperchio si scoprì che in quel sarcofago c’era lo scheletro ben conservato di un uomo alto circa m.1.70. Gli studi successivi hanno poi rivelato la storia di quello scheletro. Apparteneva ad un atleta vissuto fra il 400 e il 450 a.C. (altre fonti invece lo farebbero risalire al 250 a.C. e si tratterebbe dell’atleta Nicocle di Taranto) che aveva vinto ben 4 gare nei giochi Panatenaici, inclusa la gara delle quadrighe, come testimoniavano le immagini sulle quattro anfore.
Questo ritrovamento consentì di conoscere molti aspetti della storia della antica Magna Grecia e del ruolo dell’olio di oliva in quell’epoca.

La colonizzazione greca del sud-Italia. La Magna Grecia.

I Greci, come è noto, approdarono sulle coste ioniche della Puglia (ma anche lungo la costa adriatica sin oltre il Gargano, e sulla costa campana a sud della odierna Salerno) a partire dall’800 a.C. per fondare nuove colonie, che poi saranno la “Magna Grecia”. I primi coloni furono gli Achei di Micene, che verso l’800 a.C. fondarono Metaponto e colonizzarono la fascia ionica della Calabria; gli ultimi furono i Dorici (gli Spartani), intorno al 400 a.C., che fondarono le città di Taranto e Gallipoli, e poi colonizzarono tutta la fascia sud della Sicilia (Fig. 2).

I coloni mantennero sempre stretti rapporti con la madre patria, partecipando agli eventi sociali, inclusi i grandi giochi, quali le Panatenee, ai quali prendevano parte atleti provenienti dalla

Magna Grecia. L’atleta di Taranto fu uno di questi, che ritornò in patria colmo di onori e di premi. Il premio principale per le gare vinte ad Atene era costituito da un grande quantitativo di olio di oliva, all’epoca molto prezioso e costoso. L’olio quindi era certo un alimento, ma soprattutto rappresentava ricchezza, oltre che un premio profondamente permeato di significati religiosi e di gloria.

Fig. 2 – La Magna Grecia e i territori colonizzati dalle popolazioni greche

 

I GIOCHI PANATENAICI

I giochi panatenaici, o Panatenee, (in greco antico Παναθήναια, Panathénaia) erano le feste religiose più importanti dell’antica Atene, in onore di Athena, protettrice della città,. Si tenevano il giorno della nascita della dea (il 28 del mese di  Ecatombone corrispondente alla fine di luglio) e vi partecipavano tutti i cittadini liberi, comprese le donne Nel 566 Pisistrato riorganizzò la festa e istituì ogni 4 anni, nel terzo anno dell’olimpiade, le Grandi Panatenee, giochi che duravano nove giorni con agoni musicali e letterari seguiti da gare ginniche e corse di quadrighe. Il premio per i vincitori delle gare era rappresentato da un certo numero di anfore colme di olio proveniente dagli uliveti sacri. Al vincitore della gara delle quadrighe però, la gara più attesa ed importante, andavano ben 140 anfore, per un totale di oltre 2000 litri di olio. La prima anfora di ogni premio era finemente istoriata e recava da un lato l’immagine della dea Athena Promachos, protettrice degli atleti, con l’iscrizione “ton Athenethen athlon (un premio da Atene) e dall’altro l’immagine della gara vinta. Ogni anfora aveva una capienza da 22 a 35 litri.