Consumare il pesce in modo sicuro: i pesci velenosi

Alcuni pesci sono velenosi e lo possono essere in diversa maniera. Spieghiamo meglio questa affermazione. Innanzitutto esistono alcune specie di pesci che sono velenosi perché presentano sul corpo alcune spine collegate con ghiandole velenifere. E’ questo il caso del Trigone (Dasyatus pastinaca), del Pesce prete o Lucerna (Uronoscopus scaber), dello Scorfano (Scorpaena scrofa) e delle Tracine (Trachinus vipera, Trachinus draco, Trachinus araneus e Trachinus radiatus). Le punture con le spine di tutte queste specie possono costituire un pericolo soprattutto per i pescatori, per i pescivendoli e per i cuochi che manipolano frequentemente questi pesci, ma anche per i bagnanti.

Le Tracine infatti si mimetizzano molto bene nella sabbia anche in prossimità del bagnasciuga e possono pungere se disturbate o calpestate con la pianta del piede. Il veleno, generalmente non mortale, è comunque in grado di provocare un dolore locale molto intenso che tende rapidamente ad irradiarsi dalla zona interessata dalla puntura. In alcuni casi è possibile che si manifestino sintomi più importanti come tremori, gonfiore, diminuzione della pressione sanguigna, irregolarità del battito cardiaco, sudorazione, diarrea, vomito e fenomeni allergici che possono richiedere un intervento medico e farmacologico appropriato.

Occorre ricordare che le tossine prodotte da queste specie ittiche sono piuttosto instabili e termolabili, per cui sono inattivate dalla semplice cottura; in ogni caso è particolarmente importante prestare attenzione alla manipolazione di questi animali marini considerando il fatto che il veleno rimane attivo ben dopo la cattura e la morte del pesce.

L’Emoittiotossina

Alcune specie di pesci tutti appartenenti all’Ordine degli Anguilliformi (Murena, Anguilla e Grongo) hanno la caratteristica comune di avere un corpo serpentiforme e di contenere nel sangue una proteina tossica denominata “emoittiotossina”.

Occorre quindi prestare attenzione nella preparazione culinaria di queste specie ittiche in quanto a contatto con il sangue umano la tossina ha un’azione emolitica, ovvero è in grado di rompere le membrane dei globuli rossi, che in tal modo vengono distrutti; oltre a questo può anche manifestarsi una paralisi sensoriale e motoria fino al blocco respiratorio.

E’ bene però precisare che questa tossina agisce soltanto nel caso in cui grandi quantità di sangue del pesce entrino in contatto diretto col sangue umano, pertanto ben maggiori di quelle che potrebbero passare nel sistema circolatorio umano a seguito di un piccolo taglio durante la preparazione in cucina. Inoltre l’emoittiotossina è termolabile e quindi viene completamente neutralizzata in fase di cottura.

La Gempylotossina

La tossina prende il nome dalla famiglia Gempylidae a cui appartengono le due specie ittiche che la contengono naturalmente: il Ruvettus pretiosus e il Lepidocybium flavobrunneum, pesci conosciuti in Italia con il nome commerciale di Ruvetto o Tirsite. 

La Gempylotossina in realtà non è una vera propria tossina, ma una miscela di esteri di acidi grassi saturi, ovvero di cere, che costituiscono una parte sostanziale (oltre il 20 %) della composizione del muscolo.

Le cere in generale sono indigeribili dall’uomo e se in grandi quantità si caratterizzano per un potente effetto lassativo in considerazione del loro basso punto di fusione.

Per questi motivi in alcune zone della Spagna, dove questi pesci sono frequentemente pescati e popolarmente chiamati Escolar o Pesce olio, è abitudine utilizzarne le carni come purgante nei bambini in caso di stitichezza ostinata.

L’ingestione di carni di questi pesci provoca nell’uomo effetti gastrointestinali avversi e in particolare diarrea, nausea, vomito, dolore addominale e mal di testa, che compaiono già dopo poche ore dal consumo e che si esauriscono nell’arco di alcuni giorni.

I consigli per poter ridurre queste  reazioni e la gravità dei sintomi gastrointestinali indesiderati sono:

  • a) acquistare il pesce da fonti affidabili, controllando l’etichetta ed ottenendo, in caso di dubbio, informazioni ed evidenze dal venditore o dal ristoratore sulla corretta identificazione della specie di ittica;
  • b) limitare la quantità consumata, tenendo conto che una porzione di Ruvetto non dovrebbe superare i 150-170 gr;
  • c) preparare e cuocere il pesce in modo da rimuovere la maggior quantità delle cere presenti nella carne; la preparazione alla griglia o l’affumicatura a caldo sono ad esempio sistemi in grado di ottenere questo risultato.

Altre tossine di origine ittica: la Ciguatossina e la Tetrodotossina

Si tratta di tossine che differiscono dalle precedenti sia per l’origine che per la gravità degli effetti per cui è opportuno considerarle separatamente e con particolare attenzione.

1) Ciguatera (CFP – Ciguatera Food Poisoning)

La Ciguatera è un’intossicazione alimentare causata nell’uomo dal consumo di pesci che attraverso la loro dieta hanno accumulato tossine conosciute come “Ciguatossine”.

L’origine del nome è spagnola e deriva dal mollusco Livona pica o Turbo pica, conosciuto a Cuba con il termine di “Cigua” e ritenuto responsabile dei primi casi segnalati di intossicazione.

In effetti la Ciguatera è una malattia alimentare nota da molto tempo, tanto che il primo evento storico fu registrato nel 1521 allorché si intossicarono alcuni ufficiali dell’esercito spagnolo nel Golfo di Guinea. Altri casi risalgono al 1606 nelle isole Vanuatu nel sud del Pacifico e al 1774 quando furono colpiti i membri dell’equipaggio della nave da guerra “Resolution” guidata dal celeberrimo capitano James Cook. Relativamente a quest’ultimo episodio, nella pagina del diario di bordo dell’8 settembre di quell’anno, il chirurgo di bordo John Anderson così descrive i sintomi della malattia attribuita presumibilmente al consumo di un grande pesce Lutiano (King snapper) pescato nella Nuova Caledonia in Polinesia: “Vi era un arrossamento ed un dolore violento alla faccia ed alla testa, con capogiro e debolezza; il dolore, così come lo hanno riferito è un’intensa sensazione di bruciore alla bocca e alla gola”.

Le specie ittiche che nel tempo sono state collegate a eventi di Ciguatera sono 425. Dapprima sono coinvolti i pesci erbivori, bentonici, che trovano il loro nutrimento nelle microalghe delle barriere coralline delle zone tropicali e sub-tropicali ed in particolare nell’Oceano Pacifico, nell’Oceano Indiano e nel Mar dei Caraibi, nella fascia compresa fra il 35° N e il 35° S parallelo.  Successivamente sono interessati i pesci carnivori in cui la concentrazione della tossina aumenta man mano che si sale nei livelli più alti della catena alimentare, secondo il principio della biomagnificazione. E’ stato sperimentalmente accertato che i pesci, una volta assunta la tossina, rimangono velenosi per tutta la vita.

Fra le specie più a rischio sono da annoverare il Barracuda, la Cernia, la Ricciola, la Murena, il Pesce pappagallo, il Lutiano, l’Acantocibio o Wahoo e numerose altre appartenenti alle famiglie dei Carangidi, degli Scaridi e degli Acanthuridae, comunemente conosciuti come Pesci chirurgo.

Le principali microalghe responsabili dell’intossicazione appartengono ai generi Ostreopsis spp., Prorocentrum spp. e soprattutto al genere Gambierodiscus spp.. Queste ultime sono state isolate per la prima volta nel 1970 nell’isola di Gambier nell’Oceano Pacifico e risultano ampiamente distribuite nella fascia tropicale e sub tropicale ove sono all’origine di fenomeni di fioritura meglio conosciuti come “maree rosse”. Le microalghe del genere Gambierodiscus presentano alcune caratteristiche peculiari in quanto vivono in acque libere in associazione con alghe epifite rosse-marroni o nei detriti del corallo e crescono bene in luoghi calmi e protetti, come le barriere coralline o gli atolli dove le acque sono basse e presentano una salinità tipica.

Le ciguatossine non sono tossine di origine batterica, da un punto di visto chimico sono da inquadrarsi come dei polieteri transfusi e costituiscono un gruppo di 23 tipi diversi di potenti neurotossine con azione anticolinesterasica e depolarizzante.

Agiscono infatti legandosi ai canali del Na+ (α subunità – sito 5), aumentando l’entrata dello ione Na e depolarizzando la membrana neuronale. A questo meccanismo d’azione fa eccezione la Maitotossina che invece è in grado di indurre un aumento significativo del Ca++ intracellulare in conseguenza dell’attivazione della fosfolipasi A2, della fosfolipasi C e delle protein-chinasi. La Maitosina, isolata per la prima volta in un Pesce chirurgo (Ctenochaetus striatus) conosciuto a Tahiti con il nome locale di “Maito”, è da considerarsi un particolarissimo tipo di tossina del gruppo delle Ciguatossine. E’ infatti riconosciuta come il prodotto naturale (di origine non polimerica) con la maggiore complessità chimica strutturale ed è considerata fra le più letali tossine non proteiche essendo dotata di una potentissima attività emolitica e citotossica.

Le Ciguatossine sono tossine liposolubili e termostabili, quindi non vengono distrutte dalla cottura o dal congelamento; inoltre sono incolori, inodori e non causano alterazioni della consistenza del gusto e delle carni del pesce, ma solo in rari casi è possibile apprezzare un sapore salato o pepato.

Attualmente non sono segnalati casi umani da consumo di pesci pescati nel Mediterraneo, anche se recenti ricerche hanno permesso di accertare la presenza della microalga Gambierodiscus nell’area marina di Creta.

In Europa, sono stati segnalati casi di intossicazione alimentare da Ciguatera in Spagna (Isole Canarie) e in Portogallo (Madeira).

La malattia in alcune aree della fascia tropicale e sub-tropicale è considerata endemica e secondo l’Autorità sanitaria spagnola i casi stimati di Ciguatera sono 20.000-50.000 all’anno in tutto il mondo. In realtà è probabile che i casi siano sottostimati così come si pensa accada per tutte le malattie legate alle tossine marine. Per quanto riguarda l’Italia i dati sono limitati al periodo 2005-2010, durante il quale, presso il Centro Antiveleni dell’Ospedale Niguarda di Milano, sono stati segnalati 10 casi di intossicazione riferibili a Ciguatera (*).

I sintomi nell’uomo compaiono normalmente da 10 minuti a 12 – 36 ore dopo il consumo di pesce e possono essere diversi come tipologia e gravità, in rapporto alla taglia e all’età del pesce, ma soprattutto alla specie ittica e all’area geografica di provenienza. La tossina infatti si concentra nei soggetti più vecchi e di grandi dimensioni che in tale modo diventano maggiormente pericolosi; inoltre le forme cliniche variano in rapporto alle zone di pesca per cui i pesci pescati nell’area caraibica sono responsabili prevalentemente delle forme gastrointestinali, quelli pescati nell’Oceano Indiano sono all’origine delle forme allucinatorie, mentre quelli pescati nell’Oceano Pacifico causano forme neurologiche. A questo proposito alcuni ricercatori hanno proposto di differenziare gli omologhi della tossina abbinando una lettera (identificativa dell’area di pesca) all’acronimo della ciguatossina: P-CTX per quelli isolati nel Pacifico, I-CTH per quelli isolati nell’Oceano Indiano e C-CTX per quelli isolati nel Mare dei Caraibi.

Nausea, vomito, diarrea incoercibile e dolorosa (simile al colera) sono sintomi tipici della forma gastrointestinale, mentre quelli cardiocircolatori sono rappresentati da ipotensione, bradicardia e disturbi della conduzione atrio-ventricolare. Molto particolari e significativi sono invece quelli neurologici: oltre a parestesie al volto, alle labbra, alla lingua, alle mani e ai piedi sino all’insensibilità degli arti, sono segnalati fenomeni di atassia, tremori, vertigini, crampi tonico-clonici, dolori all’apparato genitourinario e urgenza minzionale.  Sintomo patognomonico è la “disestesia al calore” ovvero l’inversione della percezione del caldo e del freddo conosciuta anche come “fenomeno del ghiaccio secco”. Peculiare dell’intossicazione ciguaterica è la rapida comparsa dei disturbi della sensibilità conseguente al semplice contatto con acqua o con oggetti freddi (allodinia fredda). In qualche caso i pazienti lamentano segni bizzarri quali la sensazione di “perdere i denti”.  

Nonostante l’elevata potenza tossica, le ciguatossine sono raramente accumulate nei pesci in concentrazioni tali da risultare fatali per l’uomo; questo spiegherebbe la bassa mortalità (inferiore al 4%) e il decorso generalmente favorevole della malattia che si risolve in tempi relativamente brevi (di solito in 1 – 4 settimane). Sono comunque segnalati rari casi in cui le conseguenze dell’intossicazione si sono protratte per anni; inoltre, secondo alcuni Autori, è ritenuta possibile una sensibilizzazione alla tossina, suggerita dalla maggiore gravità dei sintomi che si manifestano nei pazienti a seguito di un secondo episodio di intossicazione.

La diagnosi dell’avvelenamento da ciguatossina si basa interamente sui sintomi, in associazione con i dati anamnestici che riportano una storia recente di consumo di specie ittiche a rischio. Non sono infatti disponibili test sierologici per rilevare la tossina nell’uomo e per la conferma dei casi di intossicazione ciguaterica possono essere utilizzati test eseguiti direttamente su avanzi del pesce se disponibili.  A questo proposito i test più affidabili sono quelli condotti sui topi (mouse bioassay), animali che dimostrano una particolare sensibilità alle tossine marine.

Nel 1998 è stato reso disponibile un kit rapido per rilevare la tossina nei tessuti del pesce. Il test poteva essere utilizzato dal consumatore o dal ristoratore immediatamente prima della preparazione in cucina o del consumo del pesce, ma a causa del costo eccessivo e soprattutto della scarsa affidabilità e accuratezza il kit è stato recentemente ritirato dal commercio.

Per quanto riguarda la terapia al momento non esiste un trattamento o un antidoto specifico, per cui vengono somministrati farmaci efficaci nell’alleviare i sintomi o a fornire un generico supporto. 

Nelle forme gastrointestinali può risultare efficace il carbone attivo per le sue qualità di adsorbente se utilizzato entro 3-4 ore dall’ingestione, così come gli antiemetici in presenza di nausea e di vomito, assicurando nel contempo un adeguato riequilibrio idroelettrolitico per evitare l’eccessiva disidratazione.

Nelle forme nervose il prurito può essere alleviato da docce fredde e antistaminici, inoltre la somministrazione per via endovenosa, nelle prime 48-72 ore, di alte dosi di mannitolo può prevenire o comunque attenuare molti degli altri disturbi neurologici.

I trattamenti tradizionali, in uso fra le popolazioni indigene, prevedono un ampio uso di piante medicinali. Di queste sembrano mostrare una certa efficacia l’Argusia argentea e la Nicotiana glauca, quest’ultima conosciuta comunemente come Falso tabacco o Tabacco glauco.

In considerazione di quanto sopra descritto non è sbagliato affermare che “il consumo di pesci tropicali è una roulette russa” e proprio per questo diventa molto importante la prevenzione. A questo proposito il nostro Ministero degli Affari Esteri, nel sito “Viaggiare sicuri – Informatevi”, fornisce una serie di indicazioni, destinate ai viaggiatori italiani, che intendono raggiungere paesi tropicali o sub-tropicali, utili alla prevenzione della intossicazione ciguaterica. In particolare sono ritenute fondamentali le seguenti precauzioni:

  • evitare o comunque limitare il consumo dei pesce a rischio soprattutto se di peso superiore a 2.7 Kg;
  • evitare completamente il consumo pesci ad elevato rischio quali barracuda e murene;
  • evitare il consumo delle parti con la più alta concentrazione di tossina: fegato, intestino, testa e gonadi del pesce.

Altri accorgimenti raccomandabili sono:

  • consumare sempre piccole quantità di pesci;
  • al ristorante ordinare un pesce intero in modo da verificare la specie ittica e di accertarsi delle dimensioni, che devono essere sempre contenute (il pesce intero deve stare nel piatto);
  • in caso di acquisto, accertarsi della zona di cattura ed eventualmente chiedere informazioni e chiarimenti a persone esperte del luogo.

Appare infine opportuno ricordare che anche a livello nazionale alcune specie ittiche a rischio, come il Lutiano, la Cernia e l’Acantocibio, possono essere normalmente reperite in commercio soprattutto come prodotti congelati. A questo proposito è molto importante, prima dell’acquisto, verificare con attenzione l’etichetta apposta sulla singola confezione o presente sul banco di vendita dove il pesce è esposto. La normativa europea vigente (Reg. UE n. 1379/2013) prevede infatti l’obbligo per il venditore di rendere disponibili le informazioni sulla specie ittica, sulla zona di pesca e sul metodo di cattura in modo che il consumatore possa effettuare scelte consapevoli e soprattutto sicure.

2) Avvelenamento da Tetraodontidi – Sindrome neurotossica da pesce palla

La Tetrodotossina (TTX) è una neurotossina, ovvero una tossina che agisce sul sistema nervoso, che si accumula in alcuni organi e tessuti dei Pesci palla.

Nel luglio 1894, in occasione del meeting della Pharmaceutical Society of Japan, Yoshizumi Tahara presentò una tossina isolata dalle ovaie di un Pesce palla. Nel 1909 lo stesso studioso attribuì alla tossina il nome di “Tetrodotossina” per il fatto che il pesce in cui fu confermato l’isolamento, lo Sphaoeroides rubripes (Takifugu rubripes), apparteneva alla famiglia dei Tetraodontidae.

Lo studio della molecola fu tutt’altro che semplice e richiese molto tempo. A metà del secolo scorso tre diversi gruppi di ricercatori arrivarono in modo indipendente a determinarne la struttura chimica, ma solo nel 1964 gli scienziati Toshio Narahashi e John W. Moore scoprirono definitivamente il meccanismo d’azione.

L’esistenza di un principio tossico mortale associato ai pesci della famiglia Tetraodontidae è nota da tempo immemorabile come documentato da reperti archeologici e scritti delle antiche civiltà dell’Egitto e della Cina. Di questo si ha evidenza in alcuni geroglifici egizi del 2500 a.C. dove si testimonia la morte di un faraone della V^ Dinastia, nella Legge Mosaica (1451 a.C.) in cui si vietava il divieto consumo di pesci senza squame o senza pinne e in vari documenti cinesi del 618 d.C. attestanti la morte di alcuni imperatori della Dinastia Han.

In Giappone, dove le gonadi femminili di Pesci palla venivano ingerite dalle persone per procurarsi una “rapida morte” (**), il consumo di questi pesci fu vietato per alcuni secoli, dall’epoca della dinastia Tokugawa (1600) fino al “periodo del Regno illuminato” o “periodo Meiji” (1900).

Ad oggi a tutti i giapponesi è consentito mangiare il Pesce palla, seppur con adeguate precauzioni, ma non è permesso servirlo all’Imperatore per non mettere in alcun modo a repentaglio la sua vita.
La Tetrodotossina è una tossina non proteica a basso peso molecolare appartenente alla categoria chimica degli alcaloidi. La molecola è costituita da un gruppo guanidinico costituito da tre atomi di azoto caricato positivamente e da un anello pirimidinico con strutture cicliche fuse, contenenti gruppi –OH. Analogamente ad altre tossine marine, come le Saxitossine talvolta presenti nei molluschi bivalvi filtratori (Ostriche, Cozze, Cappesante, Vongole ecc.), la TTX agisce con alta specificità sull’attività dei canali del Na+ voltaggio dipendenti, presenti nella membrana delle cellule di tessuti eccitabili elettricamente come le cellule nervose e le fibre muscolari. In particolare la tossina legandosi ai canali del sodio ne provoca il blocco per circa 10 secondi, situazione che in questo periodo di tempo impedisce la depolarizzazione della membrana, non consente la genesi di un potenziale d’azione nelle cellule eccitabili e il conseguente rilascio di neurotrasmettitori.

L’origine biologica della TTX e dei suoi 30 analoghi è un aspetto ancora controverso, ma viene comunemente attribuita a batteri marini endosimbionti (come Vibrio spp., Pseudomonas spp. e Photobacterium fosforeum) assunti dai pesci con la catena trofica bentonica (alghe, gasteropodi marini, ecc.).

Come detto i pesci responsabili dell’intossicazione sono quelli appartenenti ad alcune famiglie di Tetraodontidi catturati nella fascia tropicale e subtropicale dell’Oceano Indiano e dell’Oceano Pacifico, ma anche nell’Oceano Atlantico, nel golfo del Messico e California.

I Tetraodontidi sono così chiamati per avere una bocca dotata di solo quattro grossi e robusti denti che formano una specie di becco, ma volgarmente sono meglio conosciuti con i nomi di “Fugu”, “Puffer fish” o “Pesci palla”, in quanto se molestati sono in grado gonfiarsi ingurgitando rapidamente grandi quantità acqua o, se tirati fuori dall’acqua, di aria. Questo atteggiamento difensivo permette al pesce di assumere una forma e una dimensione che lo rende difficile da aggredire e inghiottire anche ai più grandi predatori.

Oltre alle 80 specie di Pesci palla sono ritenute tossiche anche quelle appartenenti alle famiglie dei Diodontidi, detti volgarmente “Pesci istrice” (per avere il corpo interamente coperto di spine lunghe e dure) e dei Cantigasteridi (dal corpo a forma di un parallelepipedo) conosciuti come “Pesci scatola”, “Pesci cofano” o “Sharpnose puffer”.

Inoltre, fra le specie considerate potenzialmente tossiche, sono annoverate quelle appartenenti ai Molidi che, presentando una corpo appiattito ed elissoidale, vengono comunemente chiamati “Pesci luna”. Di questi il Pesce luna (Mola mola) e il Pesce luna trocato (Ranzania laevis) sono presenti in tutto il Mar Mediterraneo, mentre il Pesce luna lanceolato (Masturus lanceolatus), che vive nelle acque dei mari tropicali o sub-tropicali, è ritenuto responsabile di episodi di intossicazione umana.

Oltre ai pesci, altri organismi marini come molluschi bivalvi, gasteropodi, echinodermi e cefalopodi possono accumulare la Tetrodotossina. Fra questi ultimi è da ricordare il Polpo ad anelli blu (Hapalochlaena spp.), ben conosciuto per il fatto di comparire in maniera ricorrente nel film di James Bond “Octopussy”, mentre è recente il riscontro della tossina in alcuni campioni di Cozze (Mytilus galloprovincialis) prelevate nel maggio 2017 e nel maggio 2018 dalla laguna di Marano, in provincia di Udine (***). E’ inoltre importante segnalare che l’ISPRA (Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale) nell’ottobre 2013, ha comunicato il rinvenimento in acque italiane del primo esemplare di Pesce palla maculato (Lagocephalus sceleratus). Si tratta di una specie tropicale, tra le più invasive dei nostri mari, che attraversando il canale di Suez (migrazione lessepsiana) ha ormai colonizzato buona parte del bacino orientale del Mar Mediterraneo fin dal 2003. Come tutti i Tetraodontidi, si riconosce facilmente per avere la pelle senza squame e per le mandibole provviste di quattro denti molto taglienti a forma di becco; in particolare il Pesce palla maculato prende il nome dalla tipica presenza di macchie scure sul dorso.

Oltre al Pesce palla maculato, che è considerato “molto tossico e potenzialmente mortale”, anche altre due specie considerate tossiche, il Capolepre (Lagocephalus lagocephalus) e il Pesce palla liscio (Sphoeroides pachygaster), sono catturabili in acque italiane. Tenendo conto della progressiva e preoccupante diffusione geografica di queste specie ittiche nelle acque nazionali,  l’ISPRA ha promosso una campagna di informazione in collaborazione con la Direzione Generale della Pesca Marittima e dell’Acquacoltura del Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Fo  restali e il Reparto Pesca Marittima del Corpo delle Capitanerie di Porto, in modo da mantenere alta l’attenzione dei pescatori, degli operatori di tutta la filiera ittica e dei consumatori sulla pericolosità di questi pesci il cui consumo può facilmente avere esiti letali.

La Tetrodotossina è inodore, insapore, resistente al calore e al congelamento e si ritiene sia da 10 fino a 100 volte più pericolosa del veleno della Vedova nera, 7 volte più del veleno di un Serpente a sonagli Mojave, 50 volte più del veleno di un Cobra e 1200 volte più pericolosa del cianuro.

Si accumula soprattutto nelle gonadi, nel fegato, nell’intestino e nella pelle e in misura molto più limitata nel tessuto muscolare. Recenti ricerche hanno dimostrato che alcune specifiche proteine plasmatiche sono in grado di legarsi alla Tetrodotossina, in modo da permetterne il trasporto in diversi organi del pesce, e che i livelli della tossina possono variare in base alla specie, al periodo fisiologico e alla stagione.

I casi di intossicazione da Tetrodotossina si registrano soprattutto in Giappone, Taiwan, Cina e in molti paesi del sud-est asiatico (Tailandia, Filippine, Malesia, Cambogia e Vietnam). Dal 1945 al 1975 in Giappone gli esiti letali per il consumo di Pesci palla sono stati 2500, ma nel tempo si sono progressivamente ridotti a seguito dell’introduzione di alcune severe misure di prevenzione e dell’adozione di capillari campagne di informazione. In questo modo, se nel periodo 1974-1983 i casi stimati erano approssimativamente 200 all’anno con un una mortalità del 50%, in tempi più recenti i dati riportano 40-50 episodi di intossicazione con un 10% di decessi ogni anno. Gli studi epidemiologici condotti sui nuovi casi di intossicazione da “Fugu” evidenziano che questi sono per lo più riferibili al consumo di Pesci palla da parte di pescatori inesperti o di consumatori di basse condizioni economiche o comunque non adeguatamente informati.

In Italia nell’estate del 1977 furono registrati 10 casi di intossicazione (7 a Iesolo e 3 a Roma) di cui 3 mortali.

A seguito di approfondite indagini fu accertato che tutti gli episodi erano da ricondursi al consumo di alcuni pezzi di Pesce palla dorato (Lagocephalus inermis) presenti all’interno di una ingente partita di code di Rospo o Rana pescatrice (Lophiumus setigerus – Ki-anko) congelate, sbarcate a Genova e provenienti da Taiwan. Un episodio analogo, con 3 persone coinvolte, si verificò l’anno successivo in provincia di Pavia, ma i casi di intossicazione legati al consumo di Pesce palla in sostituzione della Rana pescatrice (o Rospo) si ripeterono nel tempo, come nel 2007 quando a Chicago si registrò l’intossicazione di altre due persone. Questi episodi sono essenzialmente da ricondursi al fatto che quando il Pesce palla è decapitato, eviscerato e spellato è molto difficile da distinguere dall’analoga preparazione della Rana Pescatrice, la cosiddetta “coda di Rospo”, con la quale può facilmente essere confuso.

Per questo motivo il Ministero della Sanità il 13.05.1983 emanò la Circolare n. 48 in cui, oltre a vietare l’importazione delle cosiddette “code di Rospo” dalla Cina e a ridefinire la disciplina dell’importazione dagli altri Paesi, rese disponibile una tabella di comparazione dei caratteri anatomici per distinguere con precisione le “Rane pescatrici” senza testa, dalle specie appartenenti ai “Pesci palla” o “Fugu” senza testa. A questo riguardo una precisa identificazione di specie può essere condotta con l’esame radiografico che evidenzia nelle Rane pescatrici una immagine a “x” nella struttura interna dei corpi vertebrali di forma quadrangolare, mentre nei Pesci palla mostra un’immagine ad “archi contrapposti” nella struttura interna dei corpi vertebrali di forma rettangolare.

L’avvelenamento da Tetrodotossina è caratterizzato dalla comparsa piuttosto rapida (entro 20-30 minuti dall’ingestione) di sintomi neurologici e/o gastrointestinali, la cui evoluzione e gravità dipendono dalla quantità di tossina ingerita, dallo stato di salute della persona intossicata e dalla rapidità di intervento.

Da un punto di vista clinico tuttora si fa riferimento ad una classificazione dei sintomi che gli studiosi giapponesi Fukuda e Tani elaborarono nel 1941. In particolare erano individuati 4 gradi di gravità:

  • Grado 1 (Sintomatologia leggera): parestesie e intorpidimento periorale, con o senza sintomi gastrointestinali (principalmente nausea, ma anche vomito, dolore addominale e diarrea) – Tempo di insorgenza 5-45 minuti dal pasto;
  • Grado 2 (Sintomatologia moderata): torpore del viso e di altre aree, parestesia avanzata, linguaggio confuso, paralisi motoria precoce e mancanza di coordinazione, ma con riflessi normali – Tempo di insorgenza 10-60 minuti dal pasto;
  • Grado 3 (Sintomatologia grave): incoordinazione del sistema muscolare, paralisi flaccida generalizzata, afonia, disfagia, dispnea, insufficienza respiratoria, cianosi, diminuzione della pressione sanguigna, dolore precordiale e pupille fisse/dilatate (in un paziente cosciente) – Tempo di insorgenza da 15 minuti ad alcune ore dal pasto;
  • Grado 4 (Sintomatologia gravissima): grave insufficienza respiratoria con ipossia, bradicardia, grave ipotensione, aritmie cardiache e perdita di coscienza, il cuore continua a pulsare per un breve periodo – Tempo di insorgenza 15 minuti – 24 ore dal pasto.

E’ importante sottolineare che l’evoluzione e l’esito dell’intossicazione sono spesso drammatici. La tossina infatti non è in grado di superare la barriera ematoencefalica per cui il paziente può ancora rimanere in uno stato di piena coscienza e lucidità fino a pochi minuti prima della morte. E’ probabile che nei Caraibi gli effetti della Tetrodotossina sul sistema nervoso abbiano ispirato le tradizioni popolari sui “morti viventi” o “zombies” descritti nei riti voodoo.

La morte può insorgere entro 4-6 ore dall’insorgenza dei primi sintomi, per paralisi respiratoria a causa del blocco dei muscoli respiratori, ma può verificarsi anche in tempi molto rapidi (20 minuti). Inoltre l’esperienza clinica ha dimostrato che il paziente ha buone possibilità di sopravvivenza se giunge al pronto soccorso cosciente e se supera le prime 24 ore.

La diagnosi si basa sull’anamnesi e sui sintomi clinici, in considerazione del fatto che non esistono test sierologici capaci di identificare la tossina e che la sua presenza nel sangue o nelle urine è sempre estremamente bassa.

Come per la tossina Ciguaterica i test diagnostici più affidabili e più utilizzati sono quelli condotti in vivo sui topi, utilizzando avanzi del pasto a base di pesce. 

Non essendo disponibile un antidoto, la terapia consiste nella tempestiva somministrazione di farmaci utili a supportare le funzioni vitali o a curare i sintomi nell’intento di mantenere il paziente in vita fino a che sia cessato l’effetto della tossina. In particolare nelle fasi immediatamente successive all’ingestione del pesce è necessario praticare la lavanda gastrica seguita dalla somministrazione di carbone attivo, in grado di legare la tossina onde evitarne l’ulteriore assorbimento, mentre nelle fasi più avanzate possono essere indispensabili la somministrazione di farmaci per il controllo dell’ipotensione e per la reidratazione, la dialisi in caso di blocco renale, la ventilazione forzata e il massaggio cardiaco.

Appare opportuno segnalare che sono in corso studi, che sfruttando l’azione sul sistema nervoso della tossina, ne prevedono l’uso in campo medico nei pazienti con dolore oncologico da moderato a grave non controllato; in particolare 4 giorni di iniezioni sottocutanee di Tetrodotossina sarebbero in grado di avere un effetto analgesico fino a 2 mesi.

Nonostante il pericolo derivante dal consumo dei Pesci palla sia ben conosciuto, i giapponesi considerano i piatti a base di questi pesci fra le prelibatezze più ricercate e irrinunciabili della tradizione culinaria nipponica. In questo senso è in uso affermare che “Chi mangia fugu è stupido …, ma è stupido chi non lo mangia!” e ancora che “Il Fugu è un piatto buono … da morire”.

Il Fugu si consuma prevalentemente crudo come sashimi (“Fugusashi” o “Tessa”). In questo piatto le fette sottilissime di pesce, ottenute utilizzando un coltello particolare chiamato “Fugu niki” e secondo una specifica tecnica di taglio chiamata “Usuzukuri”, sono allestite in modo coreografico così da ricordare il crisantemo o una composizione caleidoscopica. Altre preparazione sono il “Techiri”, una sorta di versione stufata cucinata con tofu, funghi e verdura cotta in un brodo di dashi e il “Fugu Karaage” ovvero Fugu marinato con sakè e salsa di soia, successivamente impanato e fritto. In linea generale i piatti a base di pesce palla sono molto costosi e nei ristoranti più famosi e alla moda è facile trovarli nel menù con prezzi fra i 10.000 e 30.000 yen ovvero fra gli 80 e i 250 euro.

Fra le tante curiosità legate al Fugu merita di essere ricordata l’istituzione di regole rigorose sulla preparazione del Pesce palla imposte nel 1949 dal generale statunitense MacArthur, eroe della seconda guerra mondiale, al fine di tutelare le truppe americane di stanza in Giappone.

Dal 1958 al 1981 le singole prefetture giapponesi hanno adottato norme molto severe che tuttora regolano la preparazione culinaria dei Pesci palla nei ristoranti. In particolare i cuochi hanno la possibilità di trattare il Fugu solo dopo un apprendistato della durata di tre anni, al termine del quale il Ministero della Salute nipponico rilascia la specifica licenza di “Fugu chorishi menkyo”. Gli chef abilitati sono una vera e propria elite, infatti per conseguire questa specializzazione è necessario frequentare un corso di tre anni e superare una serie di esami e di prove durissime che attestano di aver acquisito le necessarie competenze e la capacità di eliminare correttamente le parti tossiche del pesce. Particolare è il fatto che gli esami si concludono sempre con l’obbligo per il candidato di consumare il piatto che ha preparato.

Altre norme di prevenzione vigenti nel Sol Levante prevedono che le parti tossiche del Pesce palla, come il fegato e l’intestino rimossi durante la preparazione, siano poi immessi in un apposito contenitore metallico chiusi con un lucchetto per evitare che siano dispersi fra i rifiuti diventando un possibile pericolo per persone o animali. Inoltre la preparazione e la pulizia non corretta del Fugu comporta la chiusura del ristorante per un mese e nel caso ne consegua un episodio di intossicazione, è prevista la chiusura definitiva del locale. 

Alcuni consigli

Per essere sicuri di acquistare in pescheria una coda di Rospo e non un Pesce palla può essere sufficiente verificare la presenza di appendici carnose sulla pelle lungo la linea laterale, al confine tra la zona dorsale scura e la zona ventrale chiara del corpo. Ovviamente per fare questa verifica è necessario che il pesce che si sta per acquistare non sia spellato o almeno abbia ancora una parte della pelle nella zona immediatamente al davanti della pinna caudale.

Inoltre è sempre importante leggere con attenzione le etichette apposte sulle confezioni o i cartellini presenti nei banchi di vendita verificando la denominazione commerciale, la denominazione scientifica e la zona di cattura o di pesca e soprattutto diffidando quando il pesce esposto viene identificato con i nomi di “Pesce coniglio”, “Pesce lepre”, “Capolepre”, “Pesce pappagallo” o “Pesce luna”.

Cosa dice la legge relativamente ai pesce tossici?

La normativa europea (Regolamento CE n. 853/2004) prevede che i prodotti della pesca freschi, preparati, congelati e trasformati appartenenti alla famiglia delle Gempylidae, in particolare il Ruvettus pretiosus e il Lepidocybium flavobrunneum, possano essere immessi sul mercato solo in forma di prodotti confezionati o imballati e opportunamente etichettati al fine di informare i consumatori sulle modalità di preparazione o cottura e sul rischio connesso alla presenza di sostanze con effetti gastrointestinali nocivi.

Relativamente al rischio di intossicazione da altre tossine di origine ittica il Regolamento sopracitato prevede che non siano immessi sul mercato prodotti della pesca contenenti biotossine (come la ciguatossina o le tossine che paralizzano i muscoli) e di prodotti della pesca ottenuti da pesci velenosi delle famiglie dei Tetraodontidae, Molidae, Diodontidae e Canthigasteridae.

(*) Rubini S., Ranghieri V., Malandra R., Della Puppa T., Bolognesi E., Montanari S. Moretti V.M. – Ciguatera: an emergeing public health issue for european consumers. Are we ready? – Marine and freshwater toxins analysis – Second joint symposium and AOAC task Force meeeting – Baiona Spain May 1-5, 2011.
(**) Poletti R. – Biotossine marine. Origine, diffusione e controllo – Centro Ricerche Marine – Regione Emilia-Romagna
(***) Bordin P., Dall’Ara S., Tartaglione L., Antonelli P. Calfapietra A., Varriale F., Guiatti D., Milandri A. Dell’Aversano C., Arcangeli G., Barco L. – First occurrence of tetrodotoxins in bivalve mollusks from Northern Adriatic Sea (Italy) – ScienceDirect vol. 120 – February 2021.
Scheda a cura di Gualtiero Fazio
La foto della Tracina, dell’Anguilla, del Ruvetto, del Pesce Palla, della Dentatura del Tetraodontide, sono di Paolo Manzoni.
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Le foto del Capolepre e della radiografia di un Tetraodontide sono di Gualtiero Fazio.
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Per le la foto del Polpo ad anelli blu in calce sono riportati l’Autore, la licenza d’uso e il link originario del file.