Acciuga: tutti i segreti. #venerdìpesce

ACCIUGA o ALICE
(Engraulis encrasicolus)

Chi è

È un pesce pelagico, con abitudini migratorie e gregarie. Vive in grandi banchi in profondità (100-200 m) durante l’inverno, ma in concomitanza del periodo riproduttivo, ovvero in primavera e in estate, si avvicina alla costa. È specie eurialina, cioè si adatta bene a variazioni o sbalzi di salinità dell’acqua. Per tal motivo frequenta anche le lagune, gli stagni salmastri o gli estuari. Si nutre principalmente di molluschi e crostacei copepodi, nonché di pesci bentonici.

Come è

Ha un corpo allungato, affusolato, poco compresso, quasi cilindrico. Il muso è conico, piuttosto appuntito, provvisto di una bocca apparentemente piccola, ma in realtà molto grande, tanto da estendersi fin dietro gli occhi. La mandibola è più corta della mascella,  caratteristica che la differenzia dalla Sardina. L’occhio è piuttosto grande e di forma circolare. L’unica pinna dorsale è corta e posizionata al centro del dorso. Ha squame caduche e una colorazione azzurro-verdastra o bluastra sul dorso ed argentea sui fianchi e sul ventre. Per l’aspetto è specie annoverata fra i “pesci azzurri”.

Normalmente presenta dimensioni comprese fra i 12 ed i 15 cm, raggiungendo talvolta taglie maggiori (17- 20 cm).

Come si cattura

Si pesca con la sciabica, ma soprattutto con reti a circuizione (Ciancioli e Lampare).

Nel Cilento, a Marina di Pisciotta, viene ancora praticato un tipo tradizionale di pesca, faticoso e poco produttivo, che prevede l’uso di una particolare rete derivante detta “menaica” (o “menaide” o “minaica”). Tale pesca, ormai effettuata da pochissimi pescatori, prevede appunto l’uso di reti che vengono distese in mare, perpendicolarmente rispetto alla superficie, in modo da sbarrare il percorso delle acciughe nelle notti di mare calmo fra aprile e giugno. Le grandi maglie delle reti permettono di intrappolare i soggetti adulti di maggiori dimensioni che, nel tentativo di liberarsi, perdono rapidamente gran parte del loro sangue. Il pescatore, una volta tirate a bordo le reti a forza di braccia, provvede ad estrarre i pesci dalle maglie staccando la testa ed eliminando contestualmente i visceri. In questo modo le acciughe si conservano più a lungo, le carni risultano di migliore qualità e, dopo la salatura, i filetti si presentano chiari, tendenti al rosa e con un profumo unico, delicato ed avvolgente.

Periodo di pesca

La maggiore disponibilità di acciughe sul mercato si ha nel periodo fra aprile e settembre.

Curiosità

Può presentare un gusto amarognolo che si accentua in primavera, in concomitanza con il periodo di frega e della conseguente diminuzione del grasso. Tale caratteristica, che ha dato origine ad alcune denominazioni dialettali, era ben nota anche agli Antichi Greci, i quali pensavano che l’amaro fosse più avvertibile nella testa. Per questo motivo venne chiamata con il termine di “encrasicolus” (dal greco en = dentro, kras = testa e chole = fiele).

Riguardo alla denominazione in lingua italiana “Acciuga”, questa deriva dal latino apiuva e dal greco aphyē, che sta ad indicare un pesce piccolo, mentre l’altra denominazione di “Alice” è in uso soprattutto in Toscana per identificare il prodotto salato. Un tempo nelle zone più interne di questa regione, le Acciughe erano trasportate e commercializzate con notevole difficoltà; per prolungarne la conservazione venivano costantemente decapitate e solo con questo aspetto erano conosciute. Per tal motivo nel “Pinocchio” di Collodi, si racconta che il Pescatore verde, osservando i pesci pescati, con meraviglia esclamò “… carine queste acciughe con il capo”.

Per la sua abbondanza in Liguria era anche chiamata “pan do mâ” (il pane del mare).

Nico Orengo, scrittore torinese, nel 1997 pubblica un romanzo in cui ricorda e racconta storie di persone, paesi, mestieri e piatti piemontesi dal sapore di Mediterraneo che hanno come filo conduttore le acciughe salate. Con lo stesso nome del libro, “Il salto dell’acciuga”, ogni anno ad ottobre si tiene nella città di Laigueglia un importante evento dedicato alla cultura del mare.

Un po’ di storia

Ateneo, un grammatico greco del II secolo d.C. che visse a lungo a Roma durante l’impero di Marco Aurelio e Settimio Severo, nel libro “Deipnosophistarum sive coema sapientum”, citando i cibi maggiormente diffusi nella antica Grecia, a proposito delle acciughe scriveva: “Le acciughe si mangiavano con piselli e con ortica di mare … e se curavano anche l’impiattamento …”.

Nel Medioevo l’acciuga salata era già ben conosciuta. Le cronache del 1200 raccontano come il pesce fosse noto con il nome dialettale arcaico di “inchioda”. Ancora oggi “l’inchioda con il manigòt” (l’acciuga con l’insalata) rappresenta il premio, in segno di scherno e di disonore, per l’ultimo piazzato nel Palio di Asti. Nel periodo tardo medioevale, le acciughe salate erano comunemente commercializzate nei mercati dell’astigiano e fra i registri delle tariffe daziarie del 1377 troviamo i “barrilis de Anzoiis sallatis” sottoposti al valore estimativo di 10 lire astesi, corrispondente ad un prezzo al consumo largamente accessibile.

Dal 1600 a tutto il 1800 la storia delle acciughe si lega strettamente a quella del sale. Le acciughe pescate in Liguria e nella vicina Provenza venivano trasportate e vendute in Lombardia e soprattutto nel basso Piemonte, ma a quei tempi anche il commercio del sale era molto importante e redditizio.  Se le acciughe avevano costi contenuti, il sale era invece gravato da dazi altissimi imposti dalle autorità locali. Questa situazione fu all’origine di una particolare forma di piccolo contrabbando, per cui i commercianti di sale furbescamente utilizzavano le acciughe per coprire il sale che veniva nascosto nel fondo e nelle parti più interne dei barili, in modo da sfuggire agli occhi ed ai controlli dei doganieri e dei gabellieri.

Con il passare del tempo il commercio delle acciughe, sempre più apprezzate e consumate, oscurò il contrabbando del sale. In questo modo a fine Ottocento nacque un vero e proprio mestiere quello dell’acciugaio (anciuè in dialetto piemontese, anchoiers in occitano, anciuat in lombardo). Gli acciugai trasportavano le acciughe salate contenute in casse, barili di legno o in grandi e variopinte latte da 10 e più chili, utilizzando i “caruss” ovvero tipici carretti in legno colorati d’azzurro, leggeri ma resistenti, per lo più costruiti nel cuneese a Tetti di Dronero nella Val Maira. Gli acciugai molto spesso erano giovanissimi ragazzi che a fine estate, terminati i lavori nei campi, affiancavano i più vecchi della famiglia in questa sorta di commercio “porta a porta”. Un mestiere redditizio, ma particolarmente duro e faticoso in quanto, per poter vendere bene, era necessario spostarsi senza sosta percorrendo a piedi decine di chilometri al giorno lungo le polverose strade che collegavano le diverse città e paesi del Piemonte. In qualche caso gli acciugai raggiungevano la Lombardia, l’Emilia e addirittura i Veneto e quando non trovavano un ricovero per la notte, si accontentavano di dormire con il loro mulo sotto il carro, sapendo che il giorno successivo sarebbe stato un altro giorno difficile.

Dal commercio clandestino del sale e da quello sempre più fiorente delle acciughe, ebbero origine alcuni piatti tipici della tradizione culinaria piemontese come il bagnèt verd e la bagna càuda. Quest’ultima, servita in contenitori in terracotta (il fojòt o il dian), era utilizzata per intingere vari tipi di verdure di stagione crude e cotte; secondo alcune cronache locali era preparata principalmente nella stagione autunnale per ricompensare i vendemmiatori del lavoro prestato.

Valore economico

Ha carni gustose, di colore grigio-perlaceo, quasi trasparenti, tanto che dalla superficie esterna del filetto è possibile osservare il colore della cute. È particolarmente apprezzata in alcune regioni come la Liguria, la Sicilia e la Campania.

Si tratta di una specie di notevole interesse, commercializzata fresca o sottoposta a lavorazione industriale sotto sale, sott’olio o marinata.

Fra i prodotti tradizionali che si ottengono dalla lavorazione di questo pesce merita citare la colatura di alici. Prodotto tipico del piccolo borgo marinaro di Cetara in provincia di Salerno, ottenuto dalla maturazione sotto sale delle acciughe, la colatura è una salsa liquida, trasparente, di colore ambrato, profumata e dal sapore deciso, utilizzata come condimento per piatti a base di pasta e di verdure. Le origini ricordano quelle del garum dei romani, ma la ricetta della sua complessa preparazione risale al XIII secolo dalla sapienza dei monaci cistercensi del monastero di S. Pietro a Tuczolo sulla costiera amalfitana.

Altre preparazioni a base di acciughe della tradizione mediterranea sono anche la pasta di acciughe, nata nel 1850 dall’intuizione del gastronomo toscano Cesare Balena, l’acciugata o anchoïade, salsa tipica della Provenza a base di acciughe, aglio, olio, aceto ed erbe provenzali e il machetto ligure, una sorta di salsa da mortaio a base di acciughe salate e macerate in sale grosso per almeno un mese e rimescolate ogni 2 giorni.

Valori nutrizionali per 100 gr (Fonte CREA)

Energia (kcal)96
Energia (kJ)403
Proteine (g)16,8
Lipidi (g)2,6
Carboidrati (g)1,5

Nomi dialettali

Ancona: SardoneBari: Alaisc
Cagliari: Anciovitta, Anciova
Catania: Masculina, Ancidda, Aliccia, Anciova
Chioggia: Sardon, Anchio’
Crotone: Alicia
Genova: Anciua, Ancioa, Amarou, Anciona, Amplona, Amplova
Manfredonia: Alice, Allievi
Messina: Ancioja, Anciojarina, Nunnata (forma giovanile)
Molfetta: Alaisce
Napoli: Alice ‘e sperone, Alice anure, Cicinielli janculilli (forma giovanile)
Olbia: Aguzza
Pescara: Alice, Nudini (forma giovanile)
Roma: Alice
Siracusa: Masculinu ‘mperiale, Anciova
Taranto: Alice
Trapani: Corinedda
Trieste: Sardon
Venezia: Sardon, Bagigi
Ventimiglia: Anciuia, Anciuin (forma giovanile, Gianchettu d’anciua (forma giovanile)

Come si chiama in Europa

Anchois (FR), Boqueron, Anchoa (ES), Anchovy (UK), Sardelle (DE), Ansjos (DK), Biqueirão (PT).

Scheda a cura di Gualtiero Fazio e Paolo Bellotti.

Foto di Paolo Manzoni. La riproduzione è vietata senza l’autorizzazione dell’Autore.